di Arianna MICHETTONI (foto © Antonio FRAIOLI)
Le pagelle biancazzurre del successo sulla Fiorentina, firmato da un rigore trasformato da Ciro Immobile proprio all’ultimo secondo:
Provedel – 6.5: Vive il primo tempo in un perenne stato di tensione, ultimo baluardo di una Lazio in crisi di gioco e di tenuta. Difende il difendibile e ciò che non trattiene viene giustamente annullato dal VAR. La sua partita migliora quando la Fiorentina abbassa ritmi e intensità, consentendogli di urlare indicazioni utili a perfezionare lo schieramento difensivo – fino alla conquista del clean sheet, il secondo.
Lazzari – 6: Trova una nuova dimensione agonistica che stride con il profilo atletico cui ha abituato. La corsa è la solita, ma unita ad un’animosità finora tenuta nascosta: risponde grinta con grinta e fallo con fallo, ricevendo in cambio il plauso dei tifosi presenti e un cartellino giallo, cimelio di una sanguinosissima battaglia sulla fascia.
Patric – 6.5: Restituisce vigore e sicurezza alla difesa, liberando i compagni di reparto dalla fatica degli uomini soli. Ha accanto un Romagnoli più consapevole della sua posizione e della tenuta della diagonale, che copre con interventi risolutivi precisi. Avrebbe, in ogni caso, meritato la titolarità per l’esultanza rabbiosa ed esplosiva al gol di Immobile. Uomo simbolo.
Romagnoli – 6,5: Gioca meglio soprattutto perché supportato dal suo compagno di reparto. Paragonato a Patric è più statico – meno lavoro di pressing sulle bandierine, più tenuta della posizione – ma incarna alla perfezione il ruolo di guardiano (più che di difensore).
Marusic – 5.5: Fa poco e, in quel poco, ci sono errori che aumentano la pericolosità di una Fiorentina in cerca di risultato. Sbaglia appoggi e disimpegni ed appare più lento, quasi impacciato, del solito. Forse fuori forma, forse fuori tempo: quel che è certo è il fuori Lazio, perché è impossibile giustificare la mancanza di spinta e di gioco a favore di compagni di squadra già stanchi e disorientati.
Guendouzi – 6: Ha una sfrontatezza che spesso traduce in pressapochismo o in fretta eccessiva. Ha un buon recupero palla, ma non la sufficiente velocità di gioco – caratteristica che però allena l’esperienza. Ha trovato il suo spazio a centrocampo, conquistato di contrasto in contrasto. Insomma, ha tanto: manca a volte la fiducia dei compagni, cui spesso chiede – invano – palla. La sensazione è che ci siano ampi margini di miglioramento ad automatismi acquisiti. Chissà, allora, se ha anche il tempo.
(Dal 67’ Kamada – 6.5: Sarri stravolge il centrocampo, ingranaggio inceppato di una squadra che spesso sacrifica l’efficienza per un giro palla che inevitabilmente rotola tra i piedi avversari. Al contrario, Kamada esibisce una serie di tocchi veloci che aprono spazi di gioco e manovra, anticipando i movimenti viola)
Rovella – 6.5: Si accolla la responsabilità dei recuperi difensivi, ruolo che svolge con qualche rischio di troppo. Tuttavia, pur con le imprecisioni dovute da una squadra scollegata, è il neoacquisto che ha trovato i migliori e i più ampi spazi di inserimento, già spostando gli equilibri di un centrocampo in cerca di identità. Sarri lo cambia anche a causa di una sciocca ammonizione rimediata a fine primo tempo già fischiata.
(Dal 63’ Cataldi – 6: La prima sostituzione è fatta di necessità virtù, per tentare di unire il dovere conservativo di un cartellino giallo a Rovella al piacere di un cambio di prospettiva e di gioco. Pure se Cataldi va a svolgere un ruolo quasi fotocopia, con rincorse forsennate nella sua area per tentare recuperi palla e interruzioni della manovra fiorentina. Il premio sta nell’essere in campo mentre la Lazio esulta al triplice fischio)
Luis Alberto – 6: Fa fatica a scontrarsi con la dura realtà: a magia finita, resta il vuoto concreto di una partita che non solo non lo esalta, finisce anche per svilirlo. I tentativi di accender il fuoco su un campo zuppo di pioggia si spengono tra le super-parate di Terracciano.
(Dal 67’ Vecino – 6,5: Fa quello che a Luis Alberto non riesce: trova ordine nelle azioni semplici, verticalizzando e tentando la giocata dalla media distanza. L’elogio al pragmatismo trova l’epilogo vincente e la morale di una squadra brutta ma pratica, suo il grande merito di essersi conquistato il penalty decisivo)
Felipe Anderson – 6: L’incredibile capacità di far bene il difficile e sbagliare fastidiosamente il facile somiglia ad un qualche mito dall’intento pedagogico, un tema evidentemente caro al buon Felipe. È il suo modo di espiare ai peccati suoi, dei compagni, dei 35000 presenti sugli spalti: strozzare l’esultanza perché è nella sofferenza che si riconosce il vero credente. Il peccato originale però sta nel doppio spreco al 70’, culmine di un esercizio al dubbio che fa vacillare qualsiasi fede.
Castellanos – 6: Necessita di una convergenza occhio-piede-palla, di allenare la coordinazione, di perfezionare la mira. Insomma, necessita di una scuola di cinismo applicato all’istinto del gol che ha, è evidente, ma che non applica. Che sia la pressione per un ruolo di difficile interpretazione post-Immobile, una certa tensione al far bene e subito, il fattor comune condiviso con la squadra è la mancanza di tranquillità.
(Dal 78’ Immobile – 6.5: Il suo ingresso è accolto da una standing ovation di cui presto conosceremo l’estensione – perché contati dallo stesso Immobile – ed interpretazione, grazie al significato dato dalla sua prestazione. Per quanto sia stucchevole la retorica della riconoscenza, nessuno ha mai evidenziato la reciprocità insita in essa: l’abbraccio collettivo, con lacrime di gioia annesse versate da più condotti lacrimali, può essere motivo di riflessione)
Zaccagni – 6: Non è più solo l’assenza di gol e assist: manca la qualità di un giocatore la cui involuzione, ad oggi, desta qualche preoccupazione. A sua parziale discolpa vi è il modo di giocare della Fiorentina: pressing e raddoppio sull’uomo chiudono ogni spazio e impediscono ogni possibilità di manovra. Zaccagni è, come tutta la squadra, bloccato e inerme nonostante i tentativi di liberarsi.
(Dal 77’ Pedro – 6,5: La sua prestazione ideale sta nei minuti finali della partita, quando entra per rompere gli equilibri e togliere ossigeno e lucidità in corsa ad avversari che hanno già speso tanto. Fa lui più di tutti in circa venti minuti: dagli sviluppi di una sua azione viene il fischio del rigore trasformato in vantaggio.)
All. Sarri – 6.5: Ha dalla sua due certezze: la prima, il risultato acquisito – tre punti che rilanciano una Lazio in cerca di continuità; la seconda, l’efficacia dei cambi che stravolgono la partita. Trasforma il disappunto in esultanza e la noia in calcoli sulla classifica, restituendo l’ottimismo sornione di chi esclama “ve l’avevo detto!” fingendo sicurezza e consapevolezza. Forse ce lo aveva davvero detto, e noi non abbiamo ascoltato o creduto. Per il momento, stringe tra le mani ragione e vittoria.