di Arianna MICHETTONI (foto © Antonio FRAIOLI)
Le pagelle biancazzurre della sconfitta interna della Lazio contro il Genoa, secondo ko consecutivo per i biancazzurri in campionato.
Provedel — 6: Guarda impotente il Genoa trovare più e più volte il tiro insidioso verso la sua porta, a difesa laziale mal schierata. Nulla può contro Retegui e nulla fa nei restanti minuti di gioco, spesi a guardare i compagni sbattere contro l’asfissiante copertura ligure.
Lazzari — 5.5: Già dai primi minuti di gioco prova a spingere, ma ha poco spesso palla e ancor meno é chiamato in gioco dai compagni – che pure sprecano quel che crea. Un cortocircuito vizioso di occasioni mai state, nonostante i tentativi di recupero palla e scarico veloce in fase offensiva. Pochi spazi e mal sfruttati. Deve migliorare nei cross.
Casale — 5.5: Buone chiusure a protezione di una squadra frammentata. Accetta il ruolo di tutore del blocco difensivo, spesso rinunciando all’avanzata collettiva – non è un male, anzi: evita scoperture evidenti durante i contrattacchi genoani.
Romagnoli — 6: L’unico a tenere posizione e compostezza difensiva, sebbene i sogni di gloria ed imbattibilità siano stati consegnati al mondo onirico e mai più ricordati al risveglio. Insomma: per una squadra addormentata, lui è il buon padre di famiglia che si muove piano e non fa rumore.
Marusic — 5: La partita ha ritmi di gioco più intensi sulla fascia di sua competenza e lui stesso è partecipe e complice, suo malgrado, all’evidente involuzione subita dalla squadra. Non solo spazi saturati dai giocatori avversari: la sensazione è che manchi l’idea di costruzione e che avere o non avere il pallone faccia poca, se non nulla, differenza. (Dal 65’ Pellegrini – 5.5: Prova a portare dinamismo e movimento su una fascia prima staticamente presenziata; aggiunge peso e offre alternative di gioco, ma sbatte irrimediabilmente contro i dieci del Genoa dietro la linea del pallone).
Kamada — 5: Evidentemente non ancora inserito negli automatismi laziali. Che sia questione di tempo e non di valore tecnico è una definizione da affidare ai posteri; oggi è un giocatore estraneo all’ingranaggio biancazzurro, già di suo inceppato e che non c’è verso di far ripartire. (Dal 65’ Vecino – 5.5: Il suo ingresso dà inizio ad una sterile ed isterica fase di possesso palla laziale. Crea trame di gioco che i compagni poco o male sviluppano, rompe il tabù tiro-da-fuori. Per quanto vana, comunque un’interpretazione migliore del ruolo).
Cataldi — 5: Di esperienza alla Lazio, e di Lazio, invece lui ne ha tanta. E di errori compiuti, e di atteggiamenti insostenibili (più che ingiustificabili) per un centrocampo che ha smesso di far da collante tra reparto difensivo e offensivo, di connettore strategico e di argine contro gli avversari. Per un reparto che non c’è più, lui anche non trova identità e collocazione. (Dal 78’ Castellanos – 5,5: È l’uomo simbolo del cambio modulo Sarriano, cosa di cui è tanto inconsapevole quanto incolpevole. Non può nulla se i compagni faticano anche nei movimenti elementari, di cui almeno cerca di seguire la traiettoria. Anche il suo sembra un impiego tardivo, sfiora anche la rete pareggio).
Luis Alberto — 6,5: Il più lucido del suo reparto, ma è facile brillare anche di luce riflessa quando si è al buio totale. Si accontenta di una staticità colpevole tanto quanto la prestazione collettiva: gioca più arretrato, prova a lanciare i compagni con la stessa poca reazione del suo semi-immobilismo. Però resta ferma anche la sua visione di gioco, l’unica sua qualità, che tenta di sfruttare inventando pericoli senza sbocchi.
Felipe Anderson — 5: Non è lui, non è nemmeno la brutta copia di se stesso: è una sequenza di errori scritta per farne valutare l’assenza. Perché solo la sua assenza è valutabile, infatti, come fattore estremamente penalizzante per la squadra. (Dal 65’ Isaksen – 6: Un ingresso illuminato è illuminante, persino tardivo nel sospiro di sollievo di una Lazio che torna a giocare in 11. Atteggiamento e grinta giusti, oggi indispensabili per realizzare il compito più semplice: saltare l’uomo ed entrare in area genoana).
Immobile — 5: Il giocatore che fu e che cerca sé stesso in un campo di gioco che non lo riconosce più. La fatica che fa è preoccupante, così come sono preoccupanti i banali errori di ricezione palla in attacco. Il suo affanno è l’affanno di tutta la squadra.
Zaccagni — 5: Tra raddoppi di marcatura e catenaccio ligure non ha spazio di movimento e tentativo di tiro. Si allarga alla ricerca di alternative, finisce però per trovare il vuoto a perdere della sua squadra.
All. Sarri — 5: Sta appollaiato sulla linea – sottilissima – che divide le sue stranezze tecniche da una squadra comunque incapace di applicarle. Tra giustificazioni già trovate nel pregara e una condizione atletica inconcepibile di cui è parzialmente colpevole, sposta l’attenzione sul primo, vero cambio modulo laziale — che confonde i suoi più degli avversari, però. Se chi ben comincia è a metà dell’opera…