di Claudio CHIARINI
Con la sconfitta dell’Inter nella finale di Champions League, l’Italia ha fatto filotto: tre finali perse su tre. Ma il Calcio italiano non è uscito del tutto sconfitto, Anzi.
Dal punto di vista delle prestazioni sul campo, per motivi diversi, tutte e tre le compagini, Inter, Roma e Fiorentina, citate nell’ordine dell’importanza delle competizioni disputate, hanno in qualche modo da recriminare.
I nerazzurri avrebbero perlomeno meritato di disputare i tempi supplementari perché, dopo il vantaggio del Manchester City, si sono costruiti due clamorose occasioni da gol sfociate nella traversa di Dimarco, con successiva ribattuta dello stesso a porta vuota sul piede di Lukaku, e nella clamorosa parata di Ederson su colpo di testa ravvicinato dello stesso centrattacco belga.
I giallorossi, dopo una finale di Europa League aspra, ruvida e combattuta, sono stati sconfitti dal Siviglia ai rigori, epilogo che lascia sempre e comunque l’amaro in bocca al perdente e che, nel caso dei romanisti, rinfresca la profonda ferita mai guarita di nome Liverpool.
Infine i viola che, dopo aver tenuto in mano tutta la finale di Conference League, pareggiando immediatamente con lo splendido gol di Bonaventura il rigore del vantaggio regalato al West Ham, hanno poi concesso un ulteriore dono agli avversari con il contropiede al 90° sfociato nel gol del trionfo inglese.
A fronte però dell’aplomb, della signorilità, della sportività con cui Simone Inzaghi e Vincenzo Italiano hanno ingoiato i rispettivi rospi e si sono comportati a fine gara, lodando con orgoglio i propri uomini e riconoscendo i meriti degli avversari, spiccano viceversa la volgarità e la sciatteria messe in mostra da Josè Mouriho, sia nelle parole che nei gesti e nei comportamenti messi in atto dopo la sconfitta col Siviglia.
In seguito a questo suo exploit, allo SpecialOne, ormai da tempo tramutatosi in RosicOne, verranno certamente comminati dalla Uefa uno stop, ci si augura abbastanza lungo, e una onerosa multa, come logica conseguenza dell’aggressione verbale operata dal tecnico romanista nei confronti dell’arbitro della finale, Antony Taylor. L’operato del fischietto inglese è stato peraltro giudicato positivamente dalla stessa Uefa, oltre che da tutti quegli osservatori imparziali che non si sono abbassati a rimpolpare le asservite schiere di stampa e commentatori nostrani, disposti a negare persino l’evidenza pur di giustificare l’ingiustificabile, sempre a condizione che quanto di ingiustificabile accada serva a sostenere e proteggere gli “intoccabili” giallorossi. Ovvia la conclusione dell’analisi dell’unico episodio incriminato della partita, diretta peraltro impeccabilmente dal fischietto inglese: il braccio di Fernando è considerato in linea con il corpo. Giusto pertanto non fischiare “rigore paa riomma”. Con buona pace di tutti coloro che, e sono stati tantissimi, hanno messo alla gogna mediatica lo sventurato Taylor, reo solo di non essersi fatto intimorire dai consueti comportamenti antisportivi, aggressivi, quantunque spesso ridicoli, di tecnico, giocatori e componenti dello staff giallorosso, solitamente abituati ad essere ben ripagati dalla maggior parte degli accondiscendenti, nei loro confronti, arbitri italiani e, dunque, in questo caso, colpiti da un atto di “lesa maestà”.
Chissà che in futuro anche gli asserviti fischietti nostrani possano essere colti da un moto di orgoglio e, prendendo esempio dall’integerrimo Taylor, decidersi di stoppare sul nascere la reiterata tracotanza giallorossa.
In conclusione onore a Inzaghi e Italiano, sconfitti ma con stile, dunque vincenti, e un metaforico “scappellotto” al portoghese, sconfitto con disonore, dunque perdente, il quale farebbe bene a prendere esempio dai suoi educati colleghi.