di Claudio CHIARINI

Minacce di morte a Patricia, la moglie del centrocampista della Lazio, Luis Alberto. Aggressione fisica e verbale in aeroporto all’arbitro della finale di Europa League, Anthony Taylor, e ai componenti della sua famiglia di ritorno a casa in Inghilterra. La prima, rea di essere da tutta la vita dichiarata tifosa del Siviglia, come del resto il marito. Il secondo, reo di aver arbitrato la sfida in modo imparziale ed equanime.

Patricia ha testimoniato l’accaduto attraverso il proprio profilo Instagram: “Ecco quanto è malata la gente, per aver festeggiato la mia squadra che tifo da una vita e ieri ha vinto la coppa. E la cosa peggiore è che non ne ho ricevuto solo uno. Voglio anche dire che tutti coloro che si sono dedicati a mandare questo tipo di messaggi, sono stati denunciati”. Tra gli attacchi più vili: “Figlia di p***a, mori de cancro maligno, devi morì male”.
L’arbitro inglese, con i genitori, la moglie e la figlia, all’arrivo all’aeroporto di Budapest sono stati circondati, spintonati, insultati e bersagliati da sputi e liquidi vari da centinaia di rabbiosi tifosi della Roma. All’indirizzo degli aggrediti è volata persino una sedia di plastica, per fortuna senza conseguenze. Taylor e famiglia sono stati messi in salvo e scortati da sette agenti di polizia e sono rimasti rinchiusi al sicuro per oltre un’ora prima di dirigersi verso il loro volo. La PGMOL (l’organismo responsabile degli arbitri inglesi) è subito intervenuta con una nota alla BBC: “Siamo sconvolti da questi abusi ingiustificati e ripugnanti rivolti ad Anthony Taylor e alla sua famiglia mentre cerca d’imbarcarsi per tornare a casa. Forniremo a lui e a tutte le persone coinvolte il nostro pieno e incondizionato supporto”.

Ora le fondamentali questioni sul tavolo sono almeno tre. La prima riguarda la punizione esemplare da somministrare a coloro che, anche se indirettamente, hanno legittimato, se non addirittura istigato, i tifosi romanisti alla violenza, alle minacce, al turpiloquio. Comportamenti che calcano, ricalcano e ingigantiscono la falsariga della reazione alla sconfitta da parte dei loro idoli a fine partita. La seconda questione riguarda l’immagine del calcio italiano che, per l’ennesima volta, viene insozzata, vilipesa, oltraggiata, mortificata e offesa dal comportamento di una cospicua frangia di tifosi romanisti. Gli stessi che continuano a scrive e gridare “10, 100, 1000 Paparelli”. Gli stessi che imbrattano e spaccano la targa dedicata all’ex presidente della Lazio, Umberto Lenzini, nell’omonimo parco. Gli stessi che sistematicamente deturpano i giardini e la targa della fondazione della società biancazzurra in Piazza della Libertà a Roma. Ovviamente chi assiste dall’estero a tali scempi non ha la pazienza né la voglia per operare un ovvio distinguo. Anzi, a volte gode nel sovrapporre il nobile sostantivo “romano”, quando non addirittura quello “italiano”, al sostantivo “romanista”, facendo così di tutta l’erba un fascio e condannando al pubblico ludibrio un intero popolo per colpa di una minoranza di zoticoni, ignoranti e incivili. La terza questione riguarda l’atteggiamento oltremodo permissivo e protettivo di tutto il mondo del calcio nei confronti dei tifosi romanisti. L’utilizzo nei loro confronti di pesi e misure diversi rispetto a quelli adottati verso tutte le altre tifoserie italiane. Come se si avesse a che fare con persone bisognose, o comunque da aiutare e giustificare in qualche modo, forse perché sfavoriti dalla sorte o dalla nascita.

Ovvio che se si continua a evitare di porre argini, ma ormai servirebbe una vera e propria diga, a tali reiterati comportamenti perlomeno incivili, il torrente di violenza, gonfiato sempre di più dal diluvio delle continue e costanti frustrazioni, rischia di diventare un fiume in piena.

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