di Arianna MICHETTONI

Le pagelle biancazzurre del ko interno della Lazio contro gli olandesi dell’AZ Alkmaar nell’andata degli ottavi di finale di Conference League:




Maximiano – 5: Chi ben comincia non è a metà dell’opera, seppur di quell’opera ne abbia un’idea di conclusione. Non basta la bella parata, d’istinto puro, su Mijnans: un avvio che illude, tra concause difensive e un atteggiamento lassista. Poi Pavlidis trova il pareggio e porta l’onta dell’interruzione statistica sull’imbattibilità, peggiorando una condizione europea che non vede la Lazio brillare – neppure scintillare un po’. Kerkez restituisce onomatopeicamente le speranze di una squadra che, se non può vincere, allora farà di tutto per perdere. Purtroppo, però, non c’è merito nella sconfitta.
Lazzari – 5: Inspiegabili alcuni personalismi, quasi inesistente la fase difensiva, e, ancora, quegli scambi che a volte non riescono: la formula di una squadra che non può permettersi – perché incapace di affrontarla – la distrazione. La riserva energetica è, al solito, impagabile ed inesauribile, ma rovinosa se non canalizzata: l’utilità del correre tanto sta tutta nella chiarezza della destinazione, oggi più che mai sfumata.
Patric – 5: L’AZ tutto non fa sfoggio di incontenibilità, difetto che nel complesso caratteriale della partita va ad aggravare la superficialità di alcune ripartenze dal basso. Penalizzato da un avversario che fa del gioco falloso la sua via d’uscita tattica, diventa catarifrangente e riflette la luce di un avversario che, in due occasioni, realizza due gol. Non si vive di lucidità riflessa: starsene ai limiti dell’aria di rigore, senza aver chiara visione della trama di gioco, significa brancolare nel buio.
Casale – 6: Dimostra, in quarantacinque minuti, che una precaria condizione fisica non pregiudica la solidità e la tenuta difensiva. Inverte anche la considerazione generale: per tutti è un problema di testa, per lui un problema di ginocchio. (dal 46’ Romagnoli – 5.5: Il paradosso: una partita al risparmio che, però, non lo risparmia. Entra in gara quando una gara da disputare, concettualmente, non c’è: si unisce ai suoi compagni che sono mestieranti di un tempo perduto senza profitto, fatto scorrere per dovere e non per piacere.)
Marusic – 5.5: Se il calcio moderno potesse inventare nuovi ruoli, la sua posizione potrebbe diventare una proiezione difensiva totale della fascia sinistra, che assolve lasciando assoluta libertà di movimento a tutti gli altri. Gli stessi a cui guarda le spalle, in un gioco che è un po’ sacrificio, un po’ di necessità virtù: serve coprire, coprire gli affondi altrui e gli affondamenti propri. È sempre distante dall’azione di gioco, in perenne attesa di una ripartenza che tarda ad arrivare – come essere di vedetta quando la battaglia è già stata persa.
Milinkovic – 5: Salvate il soldato Milinkovic, degradato perché privo ormai della visione militare del centrocampo, surclassato dalle gerarchie di bravura nel reparto, privato anche della licenza di uccidere calcisticamente l’avversario. Senza più nessuno da condurre, prova il solitario assalto a Ryan e compagni con la consapevolezza di non aver più nulla da conquistare. Perde contro la traversa, perde palloni che l’AZ massimizza, perde i gradi di merito tra compagni (Luis Alberto più volte gli indica la direzione del passaggio) e tifosi.
Cataldi – 5: Il destino dei direttamente proporzionali, la nuova categoria umana studiata sulla casistica esistenziale di chi è tanto lento nella lentezza, tanto sbaglia nell’errore, e in generale rafforza qualsiasi situazione – tra il deludente e il fastidioso – che lo coinvolge. Una teoria dell’involuzione, che – poiché direttamente proporzionale – include tutta la squadra: se in difesa va male lui fa male, se il centrocampo non gira lui si perde, roteando su sé stesso. (Dal 70’ Vecino 5.5: Il cambio ha soprattutto un impatto visivo: è diverso da Cataldi, ed è qui racchiusa la considerazione dell’ovvio su un cambio che lo scorrere dei minuti rende inutile. È meno ovvio il suo apporto orizzontale, in una squadra incapace di avanzare, accartocciata e ruvida.)
Luis Alberto – 6: Ha il perenne ghigno dell’insoddisfazione, una smorfia fissa quando torna in difesa a recuperare palla e lo sguardo si rivolge ai compagni. Ha la lamentela nelle movenze, soprattutto quando pare voler sottolineare quanto lui – tra gli errori altrui – si distingua per recuperi e palloni giocati. Segue un ritmo tutto suo, che traduce in parole urlate ai compagni resi sordi dai festeggiamenti del campionato; segue la sua direzione, solitario perché spesso lasciato solo.
Pedro – 6: Una mascherina non basta a far di lui un eroe, ma lo rende lo speciale di giornata – se non altro per il gol realizzato. Gioca 30 minuti perfetti, prima di rivelare la sua identità segreta ad un avversario attento e capace di batterlo realizzando una prestazione anticlimax che si esaurisce con la sua sostituzione. (Dal 70’ Cancellieri – 5.5: I suoi ingressi, se dosati male, rendono sciapa la sua prestazione. Minutaggio sfavorevole, squadra assente, pochi palloni giocabili: la valutazione complessiva, insomma, penalizza un collettivo di cui la sua unica colpa è far parte.
Felipe Anderson – 5.5: Occupa nuovamente una posizione non sua, disorientandolo evidentemente. Errori resi plateali dal ruolo di centravanti, poca profondità per tentativi che si son fatti sempre più rari in spazi sempre più chiusi. Da offensivo ad inoffensivo, colpevole di un’imprecisione generale e generalizzata tradotta in una sconfitta subita soprattutto dalle disattenzioni altrui.
Zaccagni – 6: Fa del suo meglio e fa quel che gli riesce meglio: dominare sulla fascia per velocità e prestanza fisica. Serve al centro dell’area ma prima non trova i suoi, poi trova gli olandesi. Alla fine non trova più sé stesso.
All. Sarri – 5.5: Nel racconto al passato della partita, ci si potrebbe interrogare sulla morale della storia o sulla sua coerenza. Scelte di stile che non reggono lo scorrere del tempo, per una narrazione che ti condanna ad inseguire anche nella terza competizione europea. Perché scegliere Romagnoli, se non c’è la motivazione adatta – non giusta – ad affrontare un avversario modesto nel ruolo di antagonista? Perché non scrivere di un nuovo personaggio, facendo stancare i vecchi in una trama priva di colpi di scena?






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