Site icon Laziostory.it

Luis Alberto è la terza via tra Luis Buñuel e Claudio Caligari

di Fabio BELLI

Se dovete vendere Luis Alberto, fatelo per l’opera d’arte che è, senza fare finta che non stiamo perdendo poi questo granché. Viene da dire questo in un’estate surreale, in cui il miglior calciomercato della Lazio degli ultimi anni vive la spada di Damocle delle possibili cessioni dei “pezzi grossi”. Ha senso tutto questo? Ne parleremo il 1 settembre nell’inevitabile bilancio, ora concentriamoci sul Mago.




Nel 1928 Luis Buñuel, regista cinematografico massimo esponente della corrente surrealista, ha già realizzato il suo capolavoro. “Un cane andaluso“, apparente accozzaglia di frame scollegati che nasconde invece profondi significati e che, soprattutto, si apre con una delle scene più scioccanti della storia del grande schermo: un occhio tagliato in due con un rasoio, simbolo (citiamo dal Morandini): “del regista che intende squarciare l’occhio dello spettatore per fargli vedere, anche a costo di grandi sofferenze, tutto quello che non ha mai visto e forse non ha mai voluto vedere“.

Luis Alberto sta al calcio come Luis Buñuel al cinema: non per niente la parola “andaluso” nel sopracitato titolo si lega al Mago di San José del Valle oltre il fatto di essere connazionali spagnoli. Luis Alberto a volte è come quell’occhio sullo schermo insopportabile da guardare: la gente sembra non reggerlo, ma poi ti mostra in campo cose impossibili da vedere.

Lo ha fatto combattendo costantemente lo scetticismo, come quando segnò un gol irreale alla Spal e il cronista di Sky urlò un “Luiz Felipeeeee” poi per forza di cose aggiustato in post-produzione. Era il 6 gennaio 2018. Più di 4 anni dopo il suo ultimo gol alla Sampdoria è una prodezza ignorata dall'”intellighenzia” del calcio italiano finché qualcuno non ha sommessamente fatto notare: è uguale a un gol di Francesco Totti.

 

 

 

 

 

 

 

Ma di giocate illuminanti Luis Alberto ne ha prodotte a iosa e nonostante i paragoni con i più grandi numeri 10, Roberto Baggio in primis, si siano sprecati, non si è capito come mai di un calciatore del genere sia stato difficile anche solo ricordare il nome, per alcuni. E qui si arriva a un altro paragone calzante: Luis Alberto ha la faccia del genio disperato non solo del cinema d’avanguardia spagnolo, ma anche dei protagonisti dell’inarrivabile “Amore Tossico” di Claudio Caligari. Disarmanti con una sola battuta, la vita non la subiscono anche dal basso della loro condizione. Luis Alberto non solo si prende un gelato quando bisogna “andà a svoltà”, ma se lo compra pure da 2000 lire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Incontenibile, ha fatto litigare tutta la dirigenza, Simone Inzaghi, Peruzzi, Tare, Lotito e così via sventolando su Twitch un cedolino di uno stipendio non arrivato quando si celebrava l’aereo di bandiera, arrivando profeticamente a capire che avrebbe volteggiato nei cieli sicuramente meno della splendida Olympia. L’anno scorso la Lazio affronta la più difficile transizione tecnica degli ultimi 25 anni, più o meno da quando si passò dalla rivoluzione zemaniana al revisionismo zoffiano, e lui che fa? Arriva in ritiro con una settimana di ritardo e con dei cartoni che molti hanno sognato essere pizze: sarebbe stato troppo romantico. Intanto a Sarri già ballava l’occhio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eppure queste ultime amichevoli della Lazio hanno dimostrato che un centrocampo senza il Mago ha qualcosa in meno. Chiamatela qualità, chiamatela imprevedibilità, ma l’impressione è che nel Sarrismo organizzato un elemento di rottura, capace di mettere Immobile davanti alla porta con un solo passaggio invece dei soliti 60, possa essere quel tocco in più. Forse è una visione semplicistica, magari infantile, forse è proprio Luis Alberto che alle radici andaluse vuole ricongiungersi, con tanta prosa e senza troppa poesia. Ma secondo noi è il destino degli artisti: in pochi li capiscono davvero, a qualcuno addirittura fanno anche un po’ schifo ma sono capaci di farci vedere cose nascoste, a costo di squarciarci l’occhio in due. E perderli non è mai arricchirsi l’animo: se è proprio necessario, che si accontenti almeno il portafogli.

P.S. E poi al derby ai “cosi” gli ha fatto il fiocco in testa spesso e volentieri.







Exit mobile version