Stefano Andreotti è intervenuto a Sora presso la sala conferenze BService in occasione della presentazione del libro di Fabio Belli e Marco PiccinelliLa Repubblica nel Pallone”, edito da Rogas Edizioni. Un volume nel quale è presente un’intervista proprio al figlio di Giulio Andreotti, noto tifoso laziale, realizzata dal giornalista Alessandro Iacobelli e nella quale racconta il rapporto con il calcio del padre, tra i politici più in vista della storia dell’Italia Repubblicana, con il quale però non condivideva la fede calcistica.




Quello tra mio padre e il calcio è un rapporto molto stretto. Io sono laziale quindi ho “tradito” la passione di mio padre, simpaticamente parlando. Mio padre a 15 anni andava a vedere i giocatori della Roma da vicino in una trattoria vicino via dei Prefetti e dopo pranzo addirittura i calciatori si divertivano a tirare due calci al pallone vicino al vicolo Valdina con i ragazzini. Al vecchio stadio della Roma mio padre si arrampicava sulle colline e sugli alberi per seguire la partita.

Oltre che laziale direi che ho una passione per il calcio anomala, seguo tantissime partite e sono davvero molto appassionato. E mi è sempre piaciuta anche l’attività fisica, al contrario di mio padre, che ha sempre seguito lo sport con grande interesse, anche nel comitato organizzatore delle Olimpiadi di Roma 1960, ma sempre da “seduto”. Io ho continuato invece a giocare a calcetto con gli amici di mio figlio fino a pochi anni fa, prima che i limiti dell’età si facessero sentire.




Le poche volte che mio padre Giulio non era in giro per lavoro andavamo allo stadio insieme, erano altri tempi, poi quando è arrivata la minaccia del terrorismo questo non è stato più possibile, per andare allo stadio di domenica pomeriggio non sarebbe stato il caso fa muovere decine di poliziotti e carabinieri. Ai tempi delle prime pay tv gli comprammo l’abbonamento a Stream ma malgrado quello non vedeva mai la partita, lavorava ma teneva in sottofondo in tv il programma di Lamberto Giorgi sulle televisioni private, preferiva così nonostante potesse vedere la partita dal vivo.

A volte i romanisti hanno attribuito a mio padre meriti superiori a quelli che aveva avuto, una volta gli chiesero di aiutare a trattenere Falcao in giallorosso chiamando la mamma. Si è occupato anche di Lazio, forse per non far piangere troppo il figlio che era preoccupato dalla possibilità del fallimento del club che si era fatta concreta. Cercò di dare una mano per individuare qualcuno che rilevasse la società nel periodo in cui Calleri prese la Lazio insieme a Bocchi. D’altronde Giulio Andreotti viveva la vita del politico locale, interessato anche ai laziali anche se per motivi di tifo preferiva ovviamente i romanisti. Tra di noi abbiamo sempre avuto un rapporto carino sul calcio, io devo dire che sono tifoso vero, lui era normalmente più distaccato, non ne faceva una malattia. Era ovviamente contento per le vittorie della Roma ma non era uno di quei tifosi che sapeva tutto della squadra. La passione per lo sport l’ha accompagnato per tutta la vita.









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