di Arianna MICHETTONI (foto © Antonio FRAIOLI)

PROTO 6.5: Privo di un marchio registrato e di una battuta da ripetere come motto, vero motivo per cui, nell’immaginario collettivo, è il secondo-di-Strakosha. Poco avvezzo allo stare tra i pali, la partita gli consente passeggiate protoniche – a carica positiva, come la sua presenza in campo.

BASTOS 6.5: Il termine di paragone è assai mediocre, la prestazione da minimo sforzo e massima resa. C’è poco da difendere, ecco, allora è un bene difendere anche l’attitudine all’avanzare nella retroguardia altrui – in un impeto di buon esempio, alla “ti faccio vedere io!” che, su punizione battuta da Jony, regala il 4-0 alla Lazio.

LUIZ FELIPE 6: Pesa l’ammonizione rimediata per difendere l’inconsistenza di un tentativo di affondo cremonese. Dal 60’ A. ANDERSON 6: il gioco di luci e il nome cantato dei romantici in Curva Nord valgono l’ingresso in campo dei giovani, della loro grinta, del loro entusiasmo. La vittoria è da dividersi in 14 parti, tutte con egual quota.

ACERBI 6.5: Deve esserci un tacito patto Disney per il buon Francesco: dovrai giocarle tutte, gli han detto, e lavare l’onta della morte di Mufasa. Ruggito regale per grandi e piccini, lui è il leone – vero – del non mollare mai dell’inno/sigla d’animazione Laziale.

PATRIC 7: Con Patric in campo la Lazio non ha mai perso: da talismano biancazzurro a primo marcatore, dai fischi al nome urlato all’annuncio della formazione; se in questo mondo di eroi nessuno vuole essere Patric, noi sì.

PAROLO 7: Pa-Pa-m Lazio: dopo Patric è Parolo a raddoppiare – con l’esultanza un po’ smorzata dall’infortunio del portiere Agazzi e un po’ annacquata da una retrospettiva che solo chi indossa la fascia da capitano può produrre a rete segnata. Mentre gioca l’ennesimo quarto di finale, Parolo ha negli occhi la saggezza di un maestro di scacchi a centrocampo e nel sorriso l’esperienza di chi palloni e trofei li ha tutti abbracciati con la Lazio.

CATALDI 6: Se stiamo insieme ci sarà un perché – e insomma, non è da riscoprirlo stasera: “piedino caldo” amministra la mediana, tiene uniti i reparti biancazzurri e, da buon esempio di lazialità, lascia il posto ad Anderson per un problema al polpaccio. Dal 60’ D. ANDERSON 6: nostalgia, nostalgia canaglia: in un evoluzione canora che chissà non abbia coinvolto anche Inzaghi, di Anderson la Lazio ne ha avuti tanti – forse, forse, con una premessa di indimenticabilità da tenere nei ricordi di ogni tifoso.

BERISHA 6: Corre, corre, corre. Corre da una parte all’altra, corre per il piacere di correre, dello stare in campo, del sentire il freddo e del sentirsi parte di un collettivo alchemico che strappa applausi – di incoraggiamento, anche, in questo caso.

JONY 7: È quasi magia Jony: tre cross vincenti, tanto – non tutto – l’apporto per un complessivo di 4-0. È in crescita lui, è in crescita la sua partecipazione al gioco laziale – sicuramente riconfermato per l’indisponibilità di Lulic.

ADEKANYE 6.5: La parte più bella della serata, sentimentale e generosa, è il coro intonato per lui: Bobby, Bobby. Procura il rigore (poi realizzato da Immobile) del 3-0 e la telecamera filma il suo labiale, “vai”, suscettibile di almeno due interpretazioni. Se ne fornisce una, la più dolce: vai Adekanye, lanciati nell’attacco biancazzurro.

IMMOBILE 7: Tanto si può scrivere, raccontare e tramandare. La leggenda si rafforza con gesta nobili – le marcature – e con la duplice accezione “bello e buono” dell’eroismo greco: pare voglia cedere il rigore ad Adekanye, che in ogni caso rifiuta. L’esecuzione, è, allora, nel suo significato purissimo: una sentenza. Dal 73’ MINALA 6: Il felice ritorno di un ragazzo cresciuto – cresciuto davvero – nella Lazio.

INZAGHI 7.5: Tu, soltanto tu, il diminutivo di tutto: Inzaghi è la Lazio e la Lazio, che è la sua gente, è pure Inzaghi. Così si diventa un tutt’uno e non si distinguono più limiti – pochi, ad oggi – e distanze: dove finisce Inzaghi, inizia il vissuto di ogni tifoso della prima squadra della capitale.

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