di Fabio BELLI

Un uomo va dal dottore, gli dice che è depresso, che la vita gli sembra dura e crudele. Gli dice che si sente solo in un mondo minaccioso…
Il dottore risponde: “La cura è semplice, il grande Simone Inzaghi è in città! Lo vada a vedere, la dovrebbe tirar su!”
L’uomo scoppia in lacrime: “Ma dottore… Simone Inzaghi sono io!




Si dice spesso che le cose in casa Lazio non possono essere mai davvero semplici. Dopo aver passato la Settima e dopo una settimana passata a contare vent’anni di trofei e a pensare che sì, la vita non è poi così dura e crudele, il caso Inzaghi ha già riportato sulla terra morale e prospettive. Il dubbio, lui sì che sa accompagnarti in un mondo oscuro, crudele e minaccioso.

Però nessuno si sarebbe aspettato che Inzaghi sì, Inzaghi no sarebbe diventata un’esibizione sfrenata di solipsismo, più che un’inevitabile e anche legittima resa dei conti. Dopo la Coppa la conferma della società, la risposta del tecnico che ci sono cose da discutere. Tutto comprensibile, in ogni società si fa così. Alla Juventus sono stati sufficienti due colloqui e mezzo per capire che ad Allegri non sono bastati cinque Scudetti per l’elisir di lunga vita bianconera. Già, la Vecchia Signora: ci sarà lei dietro Inzaghi o è Inzaghi che è rimasto indietro anche rispetto a sé stesso? Perché, parliamoci chiaro, la cosa strana non è dire “ci devo pensare” di fronte a una proposta di rinnovo contrattuale dopo tre colloqui. Strano è piuttosto che un allenatore di Serie A arrivi a questo punto dopo aver avuto un anno per pensarci. Poi per Inzaghi gli anni sono undici, visto che lavora alla Lazio da allenatore da quando Lotito portava ancora le cose in coma reversibile.




Ora ci siamo svegliati eccome, la Lazio è una realtà bella e soprattutto vincente, qualche obiettivo sfugge, qualcun altro invece è lì, in bacheca, due trofei li ha portati Simone. La doppietta (era arrivato a sette, in verità) era riuscita solo al suo allenatore Eriksson, quello dello Scudetto. Dove forse Inzaghi pensa di non poter arrivare, ma quanti sogni sono stati possibili in questi tre anni? I derby, le Coppe, le finali, anche un’Europa League accarezzata e persa tra i dubbi che almeno una finale ci poteva stare, visto quanto accaduto l’anno dopo col Marsiglia regolato all’andata e al ritorno.

Insomma, è davvero così nera, Simone? Forse una stagione di tensioni e incomprensioni può lasciare la voglia di dirsene quattro. Finora siamo arrivati a tre, tre incontri, parlatevi ma poi dai retta a quelli che alla Lazio vogliono bene e in cinquemila sono venuti a festeggiare per la terza volta una Coppa, dopo la finale e il Bologna. Fa’ la cosa giusta.

P.S. E se serve, sfogatevi tra di voi:






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