di Fabio BELLI (foto © Antonio FRAIOLI)
“Noodles, siamo vecchi, l’unica cosa che ci resta è qualche ricordo. Se sabato sera vai quella festa, neanche quelli ti rimarranno.”
I tempi cambiano in fretta, ciò che andava di moda un anno fa, quest’anno sembra rinsecchito al vento. Tra le varie recensioni che hanno demolito l’ultimo album dell’ormai più influencer che rapper Fedez, spicca quella de “Linkiesta” che usa un termine di paragone brutale quanto efficace: “Nel momento in cui due ragazzetti che si fanno chiamare Coma Cose annunciano un disco dal titolo “Hype Aura” capisci immediatamente che la corona da king del parlar giovane ti è appena cascata ruzzolando giù dalla cima dell’Everest verso una stalla di maiali pigmei che la useranno come orinatoio.”
Ora, cosa possono azzeccarci messi insieme la musica italiana, il giornalismo musicale italiano, Fedex (non è un errore di battitura), i Coma Cose e soprattutto C’era una volta in America? E soprattutto, cosa c’entra tutto questo con la Lazio? C’entra perché ciò che un anno fa andava bene, improvvisamente può non andarlo più, e cosa ancor più grave, si può sprecare un sacco di tempo a discutere di cosa va bene e cosa va male quando il punto è un altro: cercare di modernizzare i propri ricordi felici, che sono l’unica cosa che resta, in un mondo in cui il disco più moderno si chiama “Hype Aura” e tu non capisci perché il linguaggio di oggi non ti appartiene più.
A voler capire, poi diventa chiaro che Inzaghi “l’Hype Aura”, la luce propria di chi è sulla cresta dell’onda, l’ha persa da un pezzo, suo malgrado visto che un anno fa aveva reso moderna e bellissima una squadra che parlava un linguaggio tutto suo, fatto di tanti gol fatti e subiti, ma che era stata abbattuta dagli arbitri prima ancora che potesse conquistare ciò che era suo di diritto. Ecco, forse un torto subìto è meno dannoso di un torto non raddrizzato: questa squadra che divertiva tutto e tutti è stata un po’ abbandonata alla prima curva, come se sminuire il valore di qualcosa di prezioso faccia sentire meno il dolore di una beffa subita. Ci siamo arrivati vicini ma non abbiamo vinto? Forse fa meno male dirsi che non si era poi così forti, poi così belli, in fondo la parola mediocrità protegge dal fatto che qualcosa potrebbe andare storto e sì, il mondo a volte non ti dà quello che ti meriti, non solo quello che non puoi avere.
“Mi sento inadeguato ma mi piace”: a sgolarsi per questa squadra c’è rimasto lui, Simone Inzaghi: noi rinnoveremmo subito il contratto a lui, a Farris, a Ripert, a Zappalà, una squadra che si è formata quando Murgia ancora guardava i Pokemon eppure loro già lo allenavano. #Inzaghi2022 è l’hashtag che ci meritiamo, questa Banda non si scioglie con un paio di stiramenti. Certo, forse la famosa telefonata del Patron (“La voce del padrone” direbbe battiato9 che strideva a Cortina non per acquisti mancati o per risultati sfiorati, ma per un’inquietante problematica che arriva al cuore dello staff-medico fisioterapico, andrebbe rivalutata per il campanello d’allarme che era, e non per la sparata in stile Cafonal come è stata superficialmente interpretata, come al solito.
Ma a sgolarsi a bordo campo, quando si perdono i pezzi e il vento di tempesta soffia contro, c’è Inzaghi e il suo team di laziali, più pochi altri, quelli che non mancano mai e sugli spalti di Lazio-Siviglia c’erano. Questa squadra, martoriata da un calendario folle e da una sfiga che sembra quasi prodotta dalla rabbia stessa dell’epilogo della scorsa stagione, non si accontenta di andarci vicino. E se affonderà, lo faremo insieme, perché la rabbia alla Lazio, prima o poi, si è sempre trasformata in qualcosa di meraviglioso. E se l'”Hype Aura” non tornerà in questi 20 giorni scarsi in cui ci giocheremo tutto, campionato, Europa League, Coppa Italia e derby, ci resteranno i nostri meravigliosi ricordi legati a un gruppo di ragazzi veri, che perdono la voce dopo ogni partita a bordo campo esattamente come i tifosi sugli spalti. Questo non vi fa pensare?
“Cosa abbiamo preso non so
In questa notte lunatica
Per affrontare la rabbia
Bisogna avere una tattica
Sai capita.
Qualcosa ci è volato via
Via dalla gabbia toracica
Rimane un osso di seppia
Per affilare la bocca
Sai capita.”
”