di Emiliano FOGLIA
Portiere non ci s’improvvisa, portiere non si diventa, portiere si nasce. Un ruolo che fin dalla scuola calcio ti mette in guerra contro tutti, avversari e compagni. Con lo sguardo spesso buttato in basso, verso quella riga di gesso bianca, segno di delimitazione tra il paradiso e l’inferno, tra il gol ed il non gol. Il portiere è inserito negli undici, fa parte della squadra ma non e’ sempre così. Rimane da solo in campo, non festeggia i gol insieme ai suoi compagni e nei momenti in cui non viene impegnato la sua tua testa inizia a viaggiare: la scuola, il lavoro, i mondiali, cosa dirà l’allenatore domani, la ragazza, i genitori e l’ultima canzone di George Michael. Intorno a lui possono esserci dieci, cento, mille o diecimila persone che lo guardano e lo giudicano, per loro sarà l’ultimo baluardo da superare, per lui saranno solo anime a cui dare soddisfazioni o dolori.
Se decidi di essere un portiere lo sarai per sempre, anche in età adulta, addirittura quando il brizzolato lascerà spazio ai capelli bianchi. E se un pallone vagante su un prato o su una spiaggia dovesse arrivare a pochi metri da te, ti verrà sempre l’istinto allungarti ed abbrancarlo in tuffo.
Sono stato portiere dal 1979 al 1996. Ho giocato, da giovane. Ma nel 2018, a 47 anni, si è avverato il mio sogno rincorso da fin bambino, Sono sceso in campo alla Stadio Olimpico, e per difendere i pali della mia Lazio, indossando la maglia degli “Eroi del 1915”.