di Fabio BELLI

David Foster Wallace è stato il più grande scrittore contemporaneo. Quando fu chiamato a tenere un discorso per i laureati del 2005 presso il Kenyon College, in Ohio, raccontò una piccola storiella che rappresentò un emblema della sua filosofia e diede anche il titolo a una raccolta di suoi scritti.




Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano il quale, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua oggi?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa cazzo è l’acqua?

Come D.F. Wallace, non è il caso di fare la figura del pesciolone saggio che illumina gli altri, dopo una sconfitta come quella di domenica sera, da cosa sono circondati, “spiegando cosa sia l’acqua a voi giovani pesci.” Come spiegava lo scrittore di Ithaca, New York, “Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare.” Ma da questo discorso possiamo trarre una lezione: il mondo è come noi rappresentiamo ciò che effettivamente ci circonda. E dare per scontato qualcosa, spesso è il primo errore da commettere per non crescere.




D’altronde, un altro scrittore meno “alto” (anche fisicamente) di David Foster Wallace ma straordinariamente efficace nelle sue metafore, Nick Hornby, ci ha illustrato meglio di altri come il calcio non sia un gioco, o almeno non solo quello. Riguarda la sfera dei sentimenti più delicata, il fanciullo che ognuno di noi cerca più o meno latentemente di soffocare, perché è quello che gli fa provare le emozioni più forti e incontrollabili. E se Febbre a 90° ricorda che tutto finisce e ricomincia sempre tra una stagione e l’altra, spiega anche come desiderare per molti anni la stessa cosa e non ottenerla mai è un qualcosa che fa regredire allo stato infantile, perché è esattamente da quando si era bambini che si voleva quella cosa con tutte le forze. Voi cosa desideravate 18 anni fa?

Per cui, tornando all’acqua e a ciò che circonda i laziali, è importante ricordare come desiderare un ingresso in Champions League da 10 anni e non ottenerlo (per la seconda volta per la differenza reti) può non essere la fine del mondo. Ma lo è se ci si concentra su quell’unico obiettivo e non si analizza la realtà: cosa ha portato al fallimento? Quali fattori hanno pesato e in che misura? “Com’è l’acqua oggi?” chiederebbe il pesce anziano che ne ha viste di tutti i colori.




Il concetto di sconfitta nello sport è complesso, proprio perché solletica aree strane del nostro ego. E soprattutto perché non viene vista mai come un vero punto di partenza: in Italia soprattutto la sconfitta è sempre l’arrivo, la fine, la nave che si spiaggia al tramonto prima della fredda notte. Ma c’è una Lazio che va già avanti mentre qualcuno ancora si asciuga le lacrime e giura a sé stesso: “Mai più!” Perché tutto è marcio, e in fondo la squadra e la società neanche vogliono raggiungere, secondo la mente di qualcuno, obiettivi per i quali hanno lavorato per un anno, giorno e notte. Anche per i loro interessi personali, perché no, il che garantirebbe anche tutti i fanatici del business che non pensano ci sia spazio per nulla fuori dal portafogli.

L’acqua di quest’anno laziale ha portato a galla tante questioni da risolvere, bisogna comprendere ora di cosa è fatta. Torti arbitrali che non possono non aver influenzato un verdetto sportivo deciso a parità di punti. Mancanza di maturità e sangue freddo che nei due momenti chiave della stagione (Salisburgo e Inter) hanno fatto crollare la squadra. Differenza tecnica con realtà che hanno speso di più, forse non meglio, ma sicuramente allestendo rose più pronte nei momenti chiave. Nello sport chi arriva avanti è migliore, ripartendo da questo concetto li si può raggiungere, altrimenti la rincorsa sarà infinita. Intervenendo su tutti gli aspetti, arbitri compresi, perché ogni vessazione ha un discorso politico e gestionale: se gli errori sono troppi, bisogna lavorare nelle sedi opportune affinché questo fattore non sia più preponderante, e non accettarlo passivamente.




Parafrasando David Foster Wallace, i torti arbitrali, gli errori di squadra e allenatore e le mancanze della società: “Mi danno il tempo di pensare, e se io non decido in modo meditato su come pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni volta che andrò allo (stadio ndr). Perché la mia naturale configurazione di base è la certezza che situazioni come questa riguardino solo me.” Essere convinti che tutto sia marcio, ineluttabile, irricevibile e immutabile può aiutare a sfogare la rabbia, ma non mette a fuoco il problema.

Si può invece “Imparare a pensare, che vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all’esperienza.” Capire, mettere in discussione le proprie certezze e quelle degli altri, impegnarsi costruttivamente per migliorare. “Consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte:

Questa è acqua, questa è acqua.






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