di Arianna MICHETTONI
Tic, tac. Il ticchettio delle lancette, tempo che passa; il rumore delle dita che pigiano sui tasti. Tic, tac – e la frase si forma. Con coerenza, un pizzico di ispirazione, qualcosa da dire.
Qualcosa da dire, appunto – qualcosa da riportare. Da affermare, da avvalorare. Qualcosa a cui dar forma, un pensiero volubile, volatile, che si imprime d’eterno nello scritto. Qualcosa che si tramanderà negli occhi dei lettori o nelle frasi fatte di commento, quando si fa spallucce e si ripete ciò che si è sentito dire. Allora il potere del tic-tac, il potere della frase, è assoluto. Così come è assoluto il potere di un preciso allineamento, di un comando d’obbedienza, di un obbligo di fedeltà – una fede nella fede, prima nella deontologia e poi nel romanismo.
Noam Chomsky postulò, tra le tecniche di distrazione di massa, la necessità di stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità – ovvero, spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti. In una sorta di auto-compiacimento, auto-commiserazione, auto-divisione in buoni e cattivi che rende impossibile il passaggio da una all’altra frazione – per cui quel che si era, si è e si sarà. Per volere di una distrazione di massa che muove pedine e giocatori nella gigantesca, infinita, partita del potere – il potere logora chi non ce l’ha, dopotutto. E la Lazio, mediaticamente, non ce l’ha.
Potere e frase, ne risulta questo connubio: uno vive in funzione dell’altro. Uno possiede l’altro, vicendevolmente. Si ha potere di formare una frase qualsiasi e stamparla così, ripeterla così, pagine e pagine di frasi di potere. Una bulimia. Un delirio. Le si possono anche elencare le frasi, in un susseguirsi becero e privo di contraddittorio – perchè, ancora, il potere della frase è appartenente alla distrazione di massa. Fino ad una compilazione precisa, ordinata, sorridente nel colletto ben stirato o in un profilo Facebook. O nella mano curata, che si stringe a comando, che si agita o che trema – sì, trema. Una mano che trema per le “offese e minacce subite”, perchè aggiunge poi: “a tutto c’è un limite”. Ed è vero, insomma, c’è un fine, un termine. Un termine non di paragone, ché è impossibile paragonare un uomo sospeso tra la vita e la morte a degli adisivi, a dei manichini. O un allenamento in un centro sportivo ad un’azione di guerriglia. O un comparto mass-mediatico alla voglia di informazione libera, intellettualmente libera, libera da pregiudizi, attinente alla narrazione dei fatti. Eppure un termine bisogna trovarlo, un fine: potere, frase e distrazione di massa nel fine ultimo. Il fine ultimo: coinvolgere la Lazio.
I Laziali e i romanisti, le due fazioni, le offese e le minacce subite: i primi e gli ultimi e tante citazioni, corredate da tratti di ufficialità, nel mezzo. Il presidente del sindacato di polizia – tifoso romanista, inciso – sussurra – o urla, chissà – ad una giornalista che probabilmente gli ultras Lazio si alleeranno con i sostenitori del Liverpool per vendetta. Sul sito del Viminale, non l’ufficio stampa delle dicerie romaniste, la notizia non appare. La Questura non ne sa nulla. Ma la frase si forma – sì, stavolta audacemente ispirata. La distrazione di massa è compiuta: i Laziali, i romanisti, e nel mezzo l’idea che i primi siano peggiori degli ultimi – che siano infidi, rancorosi, pronti ad allearsi per – per cosa, dunque? – per la difesa di una persona in coma? E se si alleassero, invece, per la difesa di un ideale? Di un principio, di un valore calcistico che la roma – nell’accezione del suo tifo – ha per ben due volte, in passato, ucciso? Sì, assassinato. Nel silenzio assordante altrui, che è un silenzio tombale. Ché Liverpool e Lazio potranno condividere Formello, grazie all’intervento-nostalgia di Lucas Leiva (unico sentimento in comune tra la società Lazio e la società Liverpool) – uno con gli occhi-cielo troppo puri per contenere qualsiasi nefanda insinuazione – o forse molto più: condividere un momento di gioia sportiva, dove a tirar calci ad un pallone si è tutti uguali, tutti uguali, e c’è profumo di erba e terriccio e sole che illumina il campo, e non di morte.
Lo stesso profumo, di erba e terriccio, che si respirerà mercoledì sera all’Olimpico.
Dove la roma squadra dovrà affrontare il Liverpool squadra, fase offensiva e fase difensiva – ma la Lazio la difendono i Laziali. E i tifosi, sugli spalti, si affronteranno a colpi di cori. Di striscioni. Di esultanze, di speranze. Colpi di vita e non colpi ferali.