di Fabio BELLI
Un derby che sa di già visto. Non solo perché per tre volte in due mesi l’epilogo è stato sempre lo stesso, la Curva Nord ad esultare pazzamente con i giocatori raccolti, finalmente felici. Dopo il 26 maggio, per quasi quattro anni la Lazio era rimasta a digiuno di vittorie (quattro e mezzo considerando solo il campionato). Ma si sa, quando piove diluvia, e il sapore è stato dolcissimo.
Eppure, il deja vu è stato quasi continuo. La sensazione di già visto non è legata alla vittoria e al loro solito modo di affrontare le cose, con quel complesso di superiorità, quella boria incorreggibile. La quarta in classifica trattata tra Coppa e campionato come se fosse una squadra di dilettanti. “Il derby è solo un fastidio, vinciamo sempre noi”, diceva il noto speaker Zampa pur dopo un’eliminazione fresca fresca. “La Lazio va distrutta, vinceremo 2-0” affermava a più riprese Francesco Totti, che a quasi 41 anni non conosce scaramanzia. D’altronde perché temere la sorte contro una squadra che è “più debole del Cesena” (affermato dopo la Coppa) e “vale al massimo il Torino”. Insomma, tra direzioni arbitrale e solite reazioni, è sembrato di essere allo stesso punto da anni.
La clamorosa simulazione di Strootman deve aprire una riflessione riguardo quella che è stata la gestione degli ultimi anni. L’olandese era già stato protagonista (basti anche solo recuperare gli articoli sul derby d’andata di Laziostory.it) di una sceneggiata dopo che aveva pensato bene di “innaffiare” Danilo Cataldi dopo il suo fortunoso gol del vantaggio. Simulazione che l’aveva portato ad essere prima squalificato e poi graziato, un dietrofront imbarazzante che stavolta non si ripeterà.
Troppo grande l’imbarazzo di Orsato di fronte a un tuffo Olimpico, ma la giornataccia del fischietto vicentino viene acuita dal rigore negato a Lukaku e da un altro contatto Fazio-Keita meno solare, ma che avrebbe meritato senza dubbio la massima punizione. Ma se gli arbitri sbagliano benissimo da soli, se vengono ingannati in maniera plateale poi è finita. Certo, la mente non può che andare all’andata anche per la decisione di Banti per un fallo di Biglia che non c’era. Un altro tuffo, decisione poi rivista ma sul capitano laziale ha pesato poi un’ammonizione dura da gestire per tutta la partita.
E che dire del derby d’andata della scorsa stagione? Dzeko atterrato un metro fuori area da Gentiletti, calcio di rigore assegnato senza neanche pensarci da Tagliavento. Troppi particolari, se si sommano a direzioni arbitrali ordinarie come quella di Maresca a Genova, con altri tre rigori netti negati alla Lazio. Parlare di rigori a grappoli, non del singolo episodio: già questo dovrebbe essere preoccupante. E dire che qualcuno aveva anche mal visto la protesta del direttore della comunicazione della Lazio, Arturo Diaconale. Se non è questo il momento di alzare la voce…
Ma torniamo al deja vu. L’archivio di Laziostory.it è utile anche per andare a leggere cosa pensiamo di Daniele De Rossi. Sembra fatto apposta (e in effetti lo è…) ma il gestaccio di Capitan Futuro è sempre quello di cui ci eravamo lamentati dopo il far west dell’andata. E anche le dichiarazioni finali sono sempre le stesse: il derby, lo sfottò, il politicamente corretto, i bigotti… Alibi di chi in campo può fare come gli pare, come Francesco Totti che si prende la biga di spintonare Felipe Anderson chinato a sincerarsi delle condizioni di Djordjevic dopo l’entrata da karate di Rudiger. Gli scarpini d’oro di sicuro non regalano benefici particolari, mentre riguardo alle mani perennemente sui genitali, ci limiteremo a ricordare che certi insulti qualificano perfettamente chi li lancia e non certo chi li riceve.
Alla fine abbracciati, uniti, i ragazzi di Inzaghi si godono la vittoria sognata, e come in un perfetto deja vu arrivano gli strali di chi, dopo averli dileggiati ad inizio stagione, non vuole sentirsi dire di aver toppato le proprie previsioni. Niente di grave, almeno in teoria: così come la società subisce dure critiche (giustissime) in stagioni come quella scorsa, non vediamo perché chi magnificava Candreva per la sua decisione di tagliare la corda (ora a undici punti di distanza – in meno – dalla sua vecchia squadra), chi affermava come Inzaghi non valesse un’unghia di Oddo e Juric, chi non si chiede perché Bielsa volesse cambiare diciotto giocatori di questa rosa da 67 punti in 34 partite, non possa essere criticato per queste sue affermazioni.
Il calcio in fondo resta un magnifico gioco, e un abbraccio sotto la Nord vale ogni sacrificio.